Dal modulo cartaceo allo SPID: la corsa ad ostacoli della burocrazia moderna.

 Dal modulo cartaceo allo SPID:
la corsa ad ostacoli della burocrazia moderna.
Un’operazione di pochi minuti oggi richiede attese infinite e nessun contatto umano. È davvero questo il futuro?

Ieri mattina, alle prese con una semplice pratica all’Agenzia delle Entrate di Aosta, mi sono ritrovata a pensare a quanto sia diventato complicato anche solo concludere le procedure più banali. Insieme ai miei due ex soci stiamo cercando di recuperare l’IVA a credito che ci spettava al momento della chiusura della nostra attività. La pratica è già stata avviata, manca solo un dettaglio: inviare le nostre coordinate bancarie.

Un tempo, e non parlo di decenni fa, ma di appena qualche anno, sarebbe bastato stampare i documenti, andare all’ufficio di competenza e consegnarli allo sportello. Un’operazione semplice e gestibile in meno di un’ora.
Oggi, però, la realtà è cambiata. Non si può più accedere liberamente agli sportelli, non ci si può semplicemente presentare e parlare con qualcuno, bisogna telefonare. Quindi chiamo e chiedo se posso passare in mattinata a consegnare il documento, ma la risposta è stata chiara: serve un appuntamento.

Sì, proprio così, per consegnare un modulo bisogna fissare un appuntamento. E il primo posto disponibile? Il 9 giugno.
Incredibile! Più di dieci giorni di attesa per completare una formalità che, in un sistema efficiente, si risolverebbe in pochi minuti.

Il punto centrale è che tutto questo avviene mentre continuiamo a pagare regolarmente le tasse per sostenere (anche) questi servizi. Eppure, oggi, accedervi sembra più difficile che mai, non solo bisogna prenotare con largo anticipo, ma per farlo è necessario essere muniti di SPID per accedere a portali che spesso sono poco intuitivi o in alternativa chiamare il call center e restare in attesa per decine di minuti sperando che qualcuno risponda.

Quello che dovrebbe essere un percorso lineare si trasforma così in un vero e proprio labirinto. La burocrazia digitale, che prometteva efficienza e accessibilità, ha aggiunto nuovi livelli di complessità.
La sensazione è di trovarsi davanti a un muro invisibile: tutto è teoricamente più “snello”, ma in pratica più lento, distante, impersonale.

C’è qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui la digitalizzazione è stata introdotta in ambito pubblico perchè non si è trattato di una reale modernizzazione e “semplificazione”, quanto piuttosto di uno spostamento di responsabilità, infatti, oggi è il cittadino a doversi adattare, ad affrontare ostacoli, a decifrare procedure che sembrano fatte apposta per scoraggiare. E mentre si moltiplicano le piattaforme, i codici, le autenticazioni e le attese, quello che si perde è il contatto umano, la possibilità di risolvere un problema in tempi ragionevoli, guardando qualcuno negli occhi.

La burocrazia non è stata superata. Si è solo spostata dentro uno schermo, e da gabbia che era prima, ora è diventata una prigione ancora più difficile da scardinare. E il cittadino? Il cittadino subisce. Non solo non può scegliere, ma nemmeno suggerire, nemmeno migliorare. Non c’è spazio per l’esperienza reale, per il confronto con chi ogni giorno fa i conti con sistemi che non funzionano. Tutto viene calato dall’alto, già fatto, già deciso, già chiuso. E se qualcosa non va, non c’è nessuno che ascolta e ancor peggio... nessuno che parla. Subiamo tutto nel silenzio più assordante e ci consoliamo dicendo: “è così, non possiamo farci niente”.

Questa mia piccola avventura mi ha fatto ricordare un film di fantascienza del 1985,  che vi consiglio, dal titolo “Brazil”.

S.M.